Erodiàs

erodias recensione teatro i 2018

Erodiàs
Di Giovanni Testori
Regia di Renzo Martinelli
Con Federica Fracassi

Dal 23 maggio all’11 giugno 2018 al Teatro i

 

Una testa sanguinolenta tra le mani di un manichino decapitato. Una teca trasparente. Una fila ordinata di cappellini a cono colorati. Una marionetta acefala. Dietro la vetrina in plexiglas, Erodiade, la regina sensuale e spietata, pare svegliarsi da un sonno senza tempo per iniziare il suo racconto. Si apre così al Teatro i, l’Erodiàs di Giovanni Testori, elitaria e volgare, purissima e blasfema, in un’altalena vorticosa che tra bestemmie, neologismi e slanci pruriginosi, ci trascina dalle cime più alte giù giù nella melma, nel fetore quotidiano delle nostre vite miserabili.

Erodiàs è il secondo di tre monologhi scritti dal drammaturgo all’inizio degli anni Novanta, poco prima della morte. Si tratta di tre lamenti funebri, tre donne che si struggono di dolore per la perdita del proprio amato, tre figure che conversano con un morto e, tangenzialmente, con la Morte: Cleopatra col corpo di Antonio, Erodiade con quello di Giovanni Battista e la Madonna, Mater Strangosciàs, col corpo di Cristo.

Su regia di Renzo Martinelli, la bravissima e sensibile Federica Fracassi dà voce e corpo alla regina innamorata e rifiutata da Giovanni Battista, che ne richiede la testa a Erode tramite intercessione di Salomè. Il suo lamento si svolge al cospetto della testa mozzata del profeta che continua a parlarle, rievocarle ricordi lontani. In questo modo Erodiade diventa lei stessa il Battista e dall’amore per lui, nasce il suo monologo che rievoca i sentimenti provati un tempo e non ancora attenuati, tra sarcasmo e disperazione, tenerezza e fastidio, amore e gelosia, passione e furia omicida.

Nel testo di Testori, Erodiade non muore, non riesce a suicidarsi, non trova pace nel sonno eterno: resta incatenata alla vita dal ricordo tragico di Giovanni, Giuàn, che le continua a ripetere di aspettare, aspettare, quasi rappresentasse una rediviva coscienza, la via per la catarsi di una donna persa nella perdita.

Specciar / - ei dise: / l’udite voi / de giù? - / specciar…; / poi, pian pian e calmament / quasi aresse prenduto de camumela un’infusion, riva egli esso alla finala consclusion: / specciar, / specciare è l’uniga manera…


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Babi Campi Falcone

Babi Campi Falcone

Mi occupo di teatro da una decina di anni e lavoro nell'ambito della comunicazione da qualche anno in più. Mi piace fotografare volti per strada. Mi piace costruire mobili. E mi piace leggere. Da Ariosto a Philip K. Dick, da Pinter a John Patrick Shanley. Ultimamente e inspiegabilmente - anche qualche libro sulla fisica quantistica e la teoria dell'universo olografico. Tra i viaggi più belli, 10 anni di psicoanalisi junghiana...

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