Gualtiero Marchesi, l'artista anarchico che nel piatto riconosce solo la legge dell'equilibrio.
"Ho cercato di fare ciò che è vero e non ideale" Henri de Toulouse-Lautrec
Dopo anni spesi a parlare di diete dimagranti, gli italiani sono improvvisamente diventati "cultori della buona tavola" addirittura "critici enogastronomici". Lei come si spiega questo passaggio?
«Perché siamo ancora distanti dall’unica, vera questione: mangiare bene, in maniera corretta, rispettando la materia e cuocendo il giusto. Chi sa cucinare fa salute.»
Quando si parla di cucina italiana vale la parola Eccellenza?
«Si, quando, appunto, è fatta bene.»
L'ingrediente al quale non potrebbe mai rinunciare?
«Il piatto, il contenitore in grado di esaltare il contenuto, è imprescindibile.»
Paga l'artigianalità nel settore?
«Il mestiere del cuoco è un mestiere artigianale dove alligna sia l’artigiano bravo sia l’artigiano cattivo.»
Cuochi si nasce o si diventa?
«Marchesi si nasce e cuochi si diventa.»
Quando è stato il momento in cui Lei ha realizzato di volersi dedicare alla cucina?
«Potrei dire che ne ho preso coscienza a rate, in più tempi. La prima volta, dopo aver fatto esperienza all’Hotel Külm di Saint Moritz. Lì, rimasi colpito dall’eleganza, dalla dignità del mestiere. Poi, molto è dipeso dall’esempio dei miei genitori, dalla semina che hanno fatto. Consideri che io sono nato nella camera numero 24 dell’Albergo Ristorante Al Mercato. L’incubazione è continuata attraverso la musica e la cultura. Frequentavo moltissimo i concerti e i teatri, quando a un certo punto mi sono messo a studiare pianoforte. Mentre studiavo con profitto pensavo anche al lavoro che continuava ogni giorno fino a che decisi che me ne sarei occupato veramente. Sposai la mia insegnate di piano e andai in Francia, confrontandomi con una filosofia del metodo e con una padronanza tecnica che mi hanno reso libero nella scelta della via da intraprendere: la semplicità. Lo studio sistematico di Auguste Escoffier ha fatto il resto, rispetto ai testi italiani che esprimevano una cucina di stampo più matriarcale.»
Lei si considera uno Chef o un artista dell'agroalimentare?
«Prima un cuoco e poi, anche, un artista, qualcuno cioè che utilizza il proprio linguaggio per esprimersi fino in fondo, liberamente. Il vero buono è il bello puro.»
Quali sono le caratteristiche per essere definiti cuochi d'Eccellenza?
«Cucinare con rigore e semplicità, il che significa conoscere la materia e non strapazzarla.»
Rispetto al nutrito panorama degli Chef italiani: serve tanta competenza/sperimentazione o tanto marketing per essere definiti Chef emergenti?
«C’è chi è solo abile a farsi notare e chi è conosciuto perché sa fare bene.»
C'è un "segreto di vita" che Lei ha appreso dal mestiere? Qualcosa che dalla cucina ha trasferito nella Sua vita privata?
«La cucina mi ha insegnato l’umiltà e la curiosità.»
Lei è considerato, lo leggiamo in wikipedia, "il fondatore della nuova cucina italiana", e "a parere di molti lo Chef italiano più noto nel mondo, e che sicuramente ha contribuito allo sviluppo della cucina italiana, ponendo la cultura culinaria italiana tra le più importanti del mondo..." Lei come vorrebbe essere definito?
«Un cuoco senza pregiudizi, un anarchico che nel piatto riconosce solo la legge dell’equilibrio, imposta dalla natura. Un pensiero condiviso con Toulouse-Lautrec.»
Qual è il momento che Le dà maggiori emozioni nel suo lavoro?
«Sempre, dall’idea alla realizzazione, dal servizio alle chiacchiere con i clienti e gli amici, dal grande menù al buon prodotto, dal farsi maestro e allievo nello stesso tempo.»
Quale parola o aggettivo meglio riassume la sua cucina?
«La cucina della verità ovvero della forma, quindi della materia.»