Crespi d’Adda: memorie ritrovate

Crespi d'Adda. Il cotonificio Crespi.
Crespi d'Adda. Il cotonificio Crespi.
Giorgio Ravasio. Country Manager Vivienne Westwood. Ritratto.
Giorgio Ravasio. Country Manager Vivienne Westwood. Ritratto.
Crespi d'Adda. Il libro
Crespi d'Adda. Il libro "Verso un museo partecipato. Riflessioni sulla direzione scientifica delle sale di interpretazione dell'Unesco Visitor Centre di Crespi d'Adda" di Giorgio Ravasio. Edizioni Tesserememoria.
Crespi d'Adda. Unesco Visitor Centre di Crespi d'Adda. Il museo.
Crespi d'Adda. Unesco Visitor Centre di Crespi d'Adda. Il museo.
Crespi d'Adda. Unesco Visitor Centre di Crespi d'Adda. Il museo.
Crespi d'Adda. Unesco Visitor Centre di Crespi d'Adda. Il museo.
Crespi d'Adda. Unesco Visitor Centre di Crespi d'Adda. Il museo.
Crespi d'Adda. Unesco Visitor Centre di Crespi d'Adda. Il museo.
Crespi d'Adda. Il villaggio. Veduta.
Crespi d'Adda. Il villaggio. Veduta.
Crespi d'Adda. Il cotonificio Crespi.
Crespi d'Adda. Il cotonificio Crespi.
Crespi d'Adda. Il cotonificio Crespi e la Centrale Idroelettrica.
Crespi d'Adda. Il cotonificio Crespi e la Centrale Idroelettrica.
Crespi d'Adda. Le ville dei dirigenti. Nove splendide ville monofamigliari, dall'ampia metratura, risidenza delle famiglie della dirigenza.
Crespi d'Adda. Le ville dei dirigenti. Nove splendide ville monofamigliari, dall'ampia metratura, risidenza delle famiglie della dirigenza.
Crespi d'Adda. Il cimitero. Il cimitero ha una forma planimetrica rettangolare. L’entrata si trova a metà del lato maggiore, proprio di fronte ad un maestoso monumento funebre di forma piramidale, che ricorda in una forma rivisitata in senso industriale gli ziqqurat centro americani. Nei prati centrali del camposanto sono ordinatamente disposti i piccoli cippi, tutti rigorosamente uguali, a perenne memoria di coloro che vennero sepolti a spese dell’azienda. Le prime file sono spesso occupate da bambini.
Crespi d'Adda. Il cimitero. Il cimitero ha una forma planimetrica rettangolare. L’entrata si trova a metà del lato maggiore, proprio di fronte ad un maestoso monumento funebre di forma piramidale, che ricorda in una forma rivisitata in senso industriale gli ziqqurat centro americani. Nei prati centrali del camposanto sono ordinatamente disposti i piccoli cippi, tutti rigorosamente uguali, a perenne memoria di coloro che vennero sepolti a spese dell’azienda. Le prime file sono spesso occupate da bambini.
Crespi d'Adda. Il villaggio. Veduta.
Crespi d'Adda. Il villaggio. Veduta.
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Intervista a Giorgio Ravasio, Presidente dell'Associazione Culturale Crespi d'Adda, Curatore e Direttore Scientifico del suo museo, autore del libro “Verso un museo partecipato” nonché Country Manager presso Vivienne Westwood.

Ho visto un posto che mi piace, si chiama Mondo”, canta Cesare Cremonini in una delle sue più belle canzoni del 2010. Come non essere d’accordo con lui quando ci sono posti ricchi di storia e fascino come Crespi D’Adda. Nato come villaggio operaio nella seconda metà dell’Ottocento per volontà di Cristoforo Benigno Crespi, imprenditore tessile e uomo illuminato, Crespi D’Adda rappresenta un modello unico nel suo genere perché completamente autonomo e autosufficiente. Fu infatti prioritario per il suo fondatore non solo realizzare tutte le strutture necessarie a questo scopo, come la scuola o la palestra, ma anche promuovere iniziative volte al miglioramento della vita degli operai impegnati a lavorare nelle sue fabbriche come l’innalzamento dell’età minima di reclutamento dei bambini. Inserito nella World Heritage List dal Comitato per il Patrimonio dell’Umanità nel 1995, oggi Crespi D’Adda è un luogo che va visitato almeno una volta nella vita. Ciò che il visitatore potrà vedere va oltre la mera meta turistica, scoprirà piuttosto un borgo che per la sua storicità, cultura e archeologia industriale è un unicum al mondo.

Incontriamo a Milano Giorgio Ravasio che, in questa intensa e significativa intervista (da leggere sino all’ultima riga), ci racconta come opera l’Associazione che, dal 1991, ne cura la valorizzazione e promozione culturale e turistica e, soprattutto, cosa significhi e quali implicazioni abbia preservare un sito come Crespi D’Adda.

Come è iniziata questa avventura e cosa l'ha spinta ad occuparsene?

È iniziata nel 1991 quando, all’inizio dei miei studi universitari, ho creato il primo servizio di promozione culturale di Crespi d’Adda, prendendo il testimone da Angelo Mariani, una personalità straordinaria a cui non saranno mai abbastanza riconosciuti i meriti e le scuse a cui avrebbe legittimamente diritto. A quel tempo, pochissimi si rendevano conto del valore culturale del luogo e della sua potenzialità come simbolo dell’imprenditoria e del lavoro bergamasco e come attrattore turistico e formativo in grado di rigenerare un territorio. Per molti Crespi d’Adda rappresentava un fastidioso problema più che una straordinaria opportunità. Il mio desiderio, quando iniziai, era quello di trasformare un luogo depresso in una città in cui tornasse a regnare la speranza, la speranza di un futuro migliore. Ho avuto a che fare, in questi trent’anni di attivismo culturale, con moltissimi soggetti non all’altezza della loro posizione e del loro ruolo, che hanno rallentato, ostacolato e, in certi casi, cercato di impedire, che Crespi d’Adda avesse l’attenzione che, invece, oggi, è tornata ad avere. Devo però dire che ho anche avuto la fortuna di lavorare anche con persone eccezionali che hanno dato un contributo a questo progetto fondamentale e che, personalmente, mi hanno arricchito dal punto di vista emotivo e umano, e, alle quali, sono ancora molto, molto legato.

Cosa è cambiato dal 1995 quando la cittadella è entrata a far parte del Patrimonio dell'Unesco?

All’inizio poco o nulla devo ammettere. Il riconoscimento fu il risultato della favorevole congiunzione di pianeti che si allineano una volta ogni mille anni. Negli anni successivi, invece, il riconoscimento internazionale ha permesso al luogo di avere la più autorevole certificazione della importanza della sua storia e del suo valore. A volte riconosciamo che qualcosa è bello perché qualcuno ce lo fa notare o ce lo spiega. Ecco, essere Patrimonio dell’Umanità ha garantito quella attenzione da parte di istituzioni, cittadini e imprenditori che altrimenti avremmo impiegato cento anni a far emergere o che, forse, non saremmo nemmeno riusciti a fare. Il riconoscimento ha reso di pubblico dominio qualcosa che non lo era. Se dire oggi che Crespi d’Adda sia un villaggio interessante e meraviglioso è una ovvietà, è soprattutto grazie a questo, oltre al nostro lavoro sul campo durato tre decadi.

Il libro che ha scritto parte da una riflessione attenta sulle responsabilità che il riconoscimento Unesco comporta, ovvero la valorizzazione di Crespi D'Adda. Quali sono i progetti in corso e quelli futuri per la sua valorizzazione?

Essere un sito del Patrimonio Mondiale comporta delle responsabilità che molti dei miei concittadini ancora non conoscono. Non si tratta soltanto di un marchio di qualità turistica o culturale, come molti pensano. Si tratta di riconoscersi in un paesaggio valoriale che preservi l’unicità dell’essere umano, espressa nelle sue forme più diverse. L’Unesco, quando nel 1972, crea la World Heritage List, lo fa con in mente di promuovere l’educazione delle persone alla pace e all’abbattimento delle barriere culturali che generarono le Guerre Mondiali, cercando, all’interno delle evidenti differenze, di recuperare il minimo comune denominatore valoriale degli esseri umani. Diversi ma uguali. Per questo stiamo lavorando per raccontare sempre meglio e sempre di più questo luogo partendo dal recupero e dalla divulgazione della sua storia. Entro la fine dell’anno riapriremo al pubblico l’archivio storico che è stato riordinato, catalogato e restaurato, pubblicando anche un libro che raccoglie quasi duecento fotografie di committenza, che rappresentano uno spaccato straordinario del vissuto di Crespi d’Adda. Stiamo lavorando all’ampliamento del Museo Partecipato, pensato per connettere l’esperienza e la narrazione della comunità locale con i flussi di turismo sempre crescenti. Abbiamo quasi completato un progetto innovativo di realtà aumentata e immersiva, che permetterà agli studenti e ai visitatori di “entrare”, a mezzo di un visore e di un programma realizzato ad hoc, nel cotonificio di fine Ottocento, con l’idea di rendere il Visitor Centre un laboratorio sperimentale di didattica innovativa. A breve inizieremo a lavorare al Piano di Gestione 2021-2026 in cui cercheremo di trasformare la vision sul futuro del territorio in azioni pratiche e concrete. A dicembre abbiamo programmato la terza edizione di Produzioni Ininterrotte, il Festival di Letteratura del Lavoro. E molto altro ancora che potrete scoprire tenendo monitorati i siti www.crespidadda.it e www.visitcrespi.it.

Scrive: "Investire nella cultura è capitalizzare il futuro dei nostri figli e anche quello dei loro figli. È l'azione politica per eccellenza". Ci spiega cosa c'entra la politica in tutto questo?

La politica c’entra, eccome. Agire è fare politica e quello che abbiamo realizzato in questi trenta anni è stata l’azione politica proveniente dal basso, dai cittadini, più importante mai realizzata in questo lembo di Lombardia. Abbiamo supportato, favorito, incentivato un cambiamento culturale straordinario creando un circolo virtuoso in cui abbiamo generato lavoro nel settore culturale, favorendo, così, anche l’insediamento di imprenditori che hanno deciso di investire nel luogo aprendo attività di ristorazione e ospitalità; abbiamo recuperato i valori della nostra storia rendendo Crespi d’Adda un indirizzo appetibile per gli insediamenti industriali; abbiamo fatto incrementare il valore degli immobili siti nel villaggio; abbiamo, attraverso la maggiore presenza turistica, incrementato la sicurezza di chi ci abita; abbiamo reso necessaria una attenzione particolare al luogo da parte di Soprintendenza ed enti preposti che pongono ora maggiore attenzione agli interventi edilizi del territorio; abbiamo coinvolto i giovani capriatesi in attività di formazione per renderli consapevoli del valore del luogo in cui vivono e facendoli diventare divulgatori delle bellezze della loro città. La cultura è stata l’elemento scatenante tutto questo ed ha portato positività e valore grazie a quella parte della comunità che ha scelto la via dell’impegno, del sacrificio e della crescita personale.

Muove molte critiche rispetto a temi quali la poca lungimiranza, l'incapacità di rinnovarsi, etc... Per lei cosa può davvero rappresentare il cambiamento?

Cambiamento può significare evoluzione ma anche devoluzione. Per evolvere dobbiamo studiare, imparare a pensare con la nostra testa, leggere libri, visitare i musei, osservare il paesaggio, confrontarci con culture diverse, ascoltare e riflettere, andare in profondità ed evitare la superficie, dare fiducia, credere nella competenza e nel merito. Evolvere significa fare fatica. Vuol dire impegnarsi. Ma vuol dire anche insegnare e creare una comunità valoriale ascoltando i giovani e dando loro delle opportunità. Oggi siamo circondati da fossili del pensiero che ragionano con le categorie del Novecento in un’epoca che sta accelerando alla velocità del suono. Nessun surfista può cavalcare l’onda del cambiamento senza aver faticato ad allenarsi. Senza fatica non c’è evoluzione e senza di essa si involve per forza.

"La memoria ed il suo racconto sono elementi imprescindibili della nostra rinascita". Come fare questo racconto? E come lo state facendo?

Lo facciamo con tutti i mezzi possibili. La storia di Crespi d’Adda è la storia di una impresa continua che nasce con Cristoforo Benigno Crespi e che rinasce con la rivoluzione culturale in atto di cui siamo protagonisti. Attraverso il Visitor Centre, le guide professioniste e i nostri divulgatori accompagnano centinaia di persone in visita al villaggio operaio, all’interno del Cotonificio e all’interno della Centrale Idroelettrica raccontando loro le infinite possibilità che si aprono davanti alla passione, al desiderio di fare impresa e che è possibile che le cose utili possano anche essere belle. La narrazione prosegue nelle sale museali, nelle pubblicazioni che realizziamo o incentiviamo, nella collaborazione con i documentaristi delle reti televisive e nei progetti di conoscenza che portiamo avanti costantemente durante l’anno. Siamo collegati a moltissime reti nazionali e internazionali che ci invitano a raccontare la nostra storia presso di loro, consentendoci di diffondere il valore della nostra storia e di condividere le nostre esperienze a livello sovranazionale.

Il Museo da poco inaugurato come si inserisce in questo racconto e qual è la sua più alta ambizione?

Vorrei che il Museo creasse consapevolezza e conoscenza. Abbiamo bisogno a Crespi d’Adda che la comunità ritrovi l’identità perduta e che i visitatori vi ritrovino conoscenza e ispirazione. Credo che ricucire i fili che ci legano alla memoria sia un compito di ogni comunità. Le esperienze non devono rassegnarsi al loro fisiologico oblio ma devono diventare messaggio ispiratore per le future generazioni.

Cosa intende quando scrive "Ho immaginato il Museo come un sabotatore di luoghi comuni, un agente provocatore attivo"?

Sono convinto che il Museo debba avere l’obiettivo di sabotare i luoghi comuni e creare incertezze, dubbi, perplessità. La vera conoscenza è un processo faticoso, non levigato, che si edifica sul confronto e sullo “scontro” culturale. È una critica che passa da tesi, antitesi e sintesi. Chi esce dal Museo deve uscirne disorientato per ritrovare nuove certezze e, nel ritrovarle, passare alla dimensione successiva della propria crescita personale. Un Museo che non scuota le menti di chi lo visita ha fallito la sua missione.

Chi sono le persone o gli attori che stanno rendendo possibile questa rinascita e quella che lei chiama "progettazione del futuro"? Cosa si aspetta da loro?

I protagonisti di questa rinascita sono i giovani del nostro territorio. È su di loro che dobbiamo puntare. Hanno sensibilità e competenza. Hanno passione e voglia di fare. Sono una generazione a cui abbiamo lasciato un enorme debito e poche possibilità per un futuro di speranza. Io cerco di dare loro spazio e una possibilità di impegnarsi. Sono straordinari e mi aspetto che diventino degli amplificatori di quei valori fondanti di cui la nostra società ha assolutamente bisogno.

Cosa significa per lei oggi essere il Curatore e Direttore Scientifico del Museo?

È una grande responsabilità a cui non ho voluto sottrarmi. Si tratta di un impegno che ho assunto perché intravedo, in un progetto di valorizzazione delle memorie collettive, la possibilità di fronteggiare l’egemonia culturale che è fatta di certezze, di informazioni, di tassonomia. La creazione di menti infarcite di idee preconfezionate è la peggiore nemica dell’innovazione e della lungimiranza. Tutte cose di cui abbiamo assoluto bisogno. Il Museo nasce con l’idea di crescere come un organismo. Le narrazioni che rappresentano il suo nutrimento dovranno essere confezionate dalla comunità che deve assumersi la responsabilità di trasmettere alle future generazioni le proprie storie. Non esiste prospettiva senza (almeno) due punti di vista.

"La cultura ci ricorda incessantemente la capacità delle cose umane ma anche la loro vocazione a risorgere dalle ceneri". Cos'è per lei la cultura?

È il valore più importante che abbiamo. Va difesa, protetta, alimentata, promossa, valorizzata. Come tutte le cose preziose è fragile e bisogna prendercene cura. È un dovere morale e un dovere civico a cui nessuno può sottrarsi. La nostra vita è un attimo paragonata all’eternità. Cultura significa essere consapevoli che si può cadere ma che ci si può rialzare. Condividere la nostra esperienza è una disciplina di generosità e di altruismo.

Mai come oggi internet, la tecnologia e i social media giocano un ruolo importante. Quali sono i pro e i contro secondo lei?

La tecnologia è una straordinaria compagna di viaggio. Attenzione a non confondere, però, la tecnologia con la sovra-comunicazione dei social-media. La tecnologia ci connette, ci permette di fare cose ritenute impossibili fino a qualche anno fa, ci cura, ci offre opportunità straordinarie, e ci può aiutare nella ricerca. La sovra-comunicazione, invece, è il palcoscenico Warhol-iano su cui la società odierna riversa la propria pattumiera sentimentale composta da frustrazione, invidia, odio, desiderio di apparire, in cui la mediocrazia porta a sviluppare superficialità di giudizio e valorizzazione della vacuità del proprio ego. Quello che ne risulta è più negativo che positivo. È la cosa che capita quando l’impegno si limita alla digitazione di giudizio su un social-media senza la responsabilità di approfondire, studiare, leggere. Ne risulta il principio dell’uno che vale uno, nella convinzione che ciò rappresenti un principio democratico invece che una malattia sociale nella quale ci si convince che tutti possono essere tutto e che qualsiasi idiota sia in grado di dire la sua sulla teoria della relatività. È l’appiattimento che garantisce la vittoria dell’uomo medio e della de-meritocrazia.

Passato, presente e futuro. Cosa rappresentano per lei esattamente?

Viviamo in un presente iper-connesso. Il passato rappresenta la nostra esperienza ed è il luogo in cui si conserva la memoria del mondo. È una straordinaria insegnante che ci indica cosa non fare per evitare di ripetere gli stessi errori e cosa fare, spesso, per migliorare le cose. Il futuro è ciò che costruiamo con la nostra attività quotidiana e le nostre scelte saranno determinanti nella definizione della sua forma e del suo aspetto.

È anche Country Manager presso Vivienne Westwood: lavorare nella moda l'ha influenzata in qualche modo?

Certamente sì. Tutto influenza tutto. L’attivismo culturale mi ha insegnato moltissime cose che mi sono state utili anche nella mia esperienza professionale e quest’ultima mi ha dato strumenti e conoscenze che mi hanno aiutato a migliorare come attivista culturale. Bisogna restare aperti a tutte le possibilità e trarre insegnamento da qualunque esperienza. Qualunque essa sia. Tutto è connesso, anche se a volte i fili che legano una storia ad un’altra sono invisibili. La cultura e la conoscenza è ciò che ci permette di unire i puntini. Il collegamento tra Crespi d’Adda, una città fondata sul filo di cotone, e la moda, che del tessuto di cotone si alimenta, è fisiologico e naturale. La Vivienne Westwood è, oltretutto, una azienda culturale che, attraverso la moda, aspira a trasmettere un’idea estetica ed etica a livello globale, e questo aspetto ha molto, moltissimo a che vedere con quello che ho contribuito a costruire a Crespi d’Adda.

Lara Mazza

Lara Mazza

Agli studi scientifici ha preferito la filosofia, la scrittura, la fotografia e poi la comunicazione. Così, a forza di parlare per lavoro e scattare per diletto, sono passati un bel mucchietto di anni. Il tempo passa, la vita corre ma la passione resta. Se su due ruote o accompagnata da un quattro zampe meglio ancora.
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